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Stefan Edberg e quel servizio fatale: 40 anni fa la tragedia agli US Open juniores quando morì un giudice di linea

Federico Ferrero

Pubblicato 01/08/2023 alle 07:12 GMT+2

TENNIS - Quando il tennis incontra la tragedia: il 10 settembre 1983 durante la finale junior degli US Open il giudice di linea Dick Wertheim perde l'equilibrio, cade e batte la testa dopo essere stato colpito da un servizio di Stefan Edberg. L'uomo morirà in seguito alle ferite riportate nell'impatto. Una vicenda che a 17 anni avrebbe potuto cambiare la carriera di un grande campione.

Tennis Expert: Stefan Edberg (1983)

Credit Foto Eurosport

L’altra mia passione, a parte il tennis, è la cronaca nera. E, che ci crediate o meno, per quanto possa sembrare strano esistono eccome, legami tra lo sport della nobiltà e dei gesti cavallereschi e il crimine. Inteso in senso lato, ovviamente. Un esempio? Un giocatore di Coppa Davis del Giappone, il valente Jiro Sato, già semifinalista in tre prove dello Slam – parliamo del 1934 – si suicidò gettandosi dalla nave che lo stava trasportando in Europa per un incontro che la sua nazionale avrebbe dovuto disputare contro l’Australia. Vittima, con ogni probabilità, di un attacco di ansia, Sato preferì buttarsi in mare piuttosto che dare un dispiacere ai suoi connazionali, conscio di non potersi esprimere ai suoi livelli usuali. Delle due lettere lasciate in cabina per spiegare il suo gesto, una era rivolta al capitano della nave: si scusava per il disagio.
In realtà, leggendo le cronache antiche, si trovano anche episodi più truculenti, come quello che coinvolse Vere Thomas Goold, tennista irlandese finalista nella terza edizione di Wimbledon, quella del 1879. Goold, un tizio piuttosto incline a fare lo scavezzacollo, era certo di battere in finale il reverendo Hartley e passò la notte precedente la finale in giro a gozzovigliare. Perse il match e, da quel giorno, anche la bussola: sempre meno competitivo, finì col ritirarsi e prese a dilapidare il patrimonio della famiglia. Sposò Marie e i due formarono un bel sodalizio di sbandati: entrambi dediti al gioco e all’alcol, seminarono debiti e fallimenti dappertutto, scapparono in Canada e tornarono in Inghilterra dopo anni. Tentarono un ultimo colpo al casinò di Monte Carlo nel 1907, abbordando una ricca signora svedese, Emma Levin. Per rubarle soldi e gioielli, la uccisero e misero in un valigione che, poi, tentarono di trasportare fino a Marsiglia. Vennero presi – la scusa che il borsone contenesse carne di pollo appena macellata non fu creduta, in compenso diventò un ingrediente perfetto per le cronache più macabre dei giornali – e condannati all’ergastolo.

Edberg aveva 17 anni

Ecco, ma la storia che voglio raccontarvi è più recente. Molto più recente. Sta per compiere quarant’anni, perché è un fatto che capitò agli Us Open del 1983. Quell’anno, il torneo maschile lo vinse Jimmy Connors mentre il protagonista della nostra vicenda era ancora troppo giovane per il tabellone dei grandi e stava disputando un match del torneo under 18. Il ragazzino si chiamava Stefan Edberg. Primo favorito del seeding, si era guadagnato la finale a spese del fratello minore di John McEnroe, Patrick, e stava giocando contro l’australiano Simon Youl (che campione non sarebbe mai diventato). La stampa aveva già potuto scrivere di lui perché, durante una delle prime conferenze stampa, gli fu chiesto che mestiere facesse suo padre, ispettore di polizia. Ancora incerto con l’inglese, rispose «He’s a criminal…» cercando di farsi venire in mente la parola giusta («inspector») ma, intanto, la sala era già esplosa in una risata fragorosa.

Il signor Richard Wertheim

Non ci fu da ridere, invece, quando, a un certo punto, Edberg servì uno dei suoi famosi kick verso il centro della T. La palla rimbalzò e puntò dritta verso il giudice di linea piazzato al centro del campo, il signor Richard Wertheim. Per gli amici, Dick. Dick aveva sessantuno anni e viveva a Lexington, Massachusetts. Grande appassionato di tennis, giudice di lungo corso, per lui era un piacere poter partecipare al torneo in quella veste. Il servizio di Edberg non era così rapido né puntava su, diciamo così, zone sensibili: colpì Wertheim al fianco. Solo che, almeno fino a quell’anno, i giudici di linea agli Us Open erano dotati di seggiola. Una sedia posta su un cubotto di legno, per farli stare comodi. Dick perse l’equilibrio, cercando di schivare la pallata. Cadde all’indietro e batté la testa sul cemento.
Svenuto, Wertheim venne immediatamente soccorso. Si capì che la situazione era seria e arrivò l’ambulanza del Flushing Medical Center per portarselo via. Mentre veniva ricoverato, Edberg e Youl ripresero a giocare e lo svedese vinse: 6-2 6-4. Con quella vittoria, Edberg completò il Grand Slam juniores e, lì per lì, venne rassicurato sulle condizioni dell’ospedalizzato. La verità, invece, era un’altra. Wertheim aveva sviluppato un pericoloso ematoma subdurale e, quando i medici analizzarono la sua cartella clinica, notarono una lunga serie di accidenti cardiovascolari, a partire dai quarant’anni in poi. Dopo cinque giorni di degenza in coma, a torneo ormai finito e giocatori ripartiti per le loro destinazioni, giunse la notizia ferale: Dick Wertheim era morto.

Il caso

La moglie del defunto, Marion, rimasta sola con tre figli, fece causa alla federazione Usa, sostenendo che fosse responsabile dell’incidente. In primo grado, grazie al caso studiato dal celebre avvocato Jacob Fuchsberg, i suoi cari ottennero qualcosa – ovvero 156.000 dollari, pari a un 25% della responsabilità - per non aver garantito la sicurezza di un lavoratore durante il torneo . Molto meno dei due milioni e passa di dollari chiesti come indennizzo. La corte d’appello di Manhattan, però, stroncò nel 1989 le loro ulteriori richieste: nella sentenza di assoluzione piena, i giudici rimarcarono che la causa della morte non fosse da attribuire neanche indirettamente alla pallata ricevuta dal giovane Edberg ma a una serie di circostanze fortuite scatenate, sì, da quel servizio ma non in maniera tale da rendere responsabile la Usta. Fuchsberg aveva raccontato ai giudici che le palline da tennis potevano essere armi improprie, che servizi particolarmente potenti «possono raggiungere anche le cento miglia orarie» e che quel giovane svedese era «un giocatore prodigioso, velocissimo».
Come dire: uno che, se ti prende con una pallata, ti può ammazzare. In realtà, già allora, la palla viaggiava più velocemente di cento miglia e il servizio di Edberg non era certo noto per la sua velocità strabiliante, anche perché non lo giocava mai piatto; ma non fu quella imprecisione, quanto l’accusa di negligenza in toto a essere negata dalla corte di secondo grado. L’avvocato spiegò che la Usta pretendeva che i giudici di linea tenessero una posizione malferma, piegati in avanti con le mani poggiate sulle ginocchia, fino a quando lo scambio non si concludeva «anche per ragioni estetiche, perché apparissero più professionali». E che questa prescrizione avesse aumentato in maniera irragionevole il rischio che ci si potesse fare male. La corte rispose che no, il fatto non aveva cambiato la sostanza degli eventi, perché un giudice di linea sa benissimo cosa va a fare e, quindi, accetta il rischio che la sua attività possa comportare un qualche pericolo. Soprattutto, dissero i giudici, quando si aveva già avuto un infarto a 40 anni e un successivo ictus, insieme a un buon elenco di altri problemi al cuore.
Vien da dire che, oggigiorno, quella sentenza credo avrebbe raccontato altro. Anche perché, guarda il caso, il torneo abolì, dall’anno successivo e per sempre, l’uso delle seggiole e di quei pericolosi cubotti e mise i giudici di linea in piedi, ben saldi sul terreno, come già succedeva nel resto del mondo.

Il trauma di Edberg

In tutto ciò, Stefan Edberg ebbe la sua dose di trauma. A diciassette anni, si ritrovò a dover rispondere alle domande dei cronisti non su un torneo vinto ma su un adulto morto, benché involontariamente, per un suo gesto. Lo sfiorò anche l’idea di smettere di giocare; dopodiché, riuscì a farsene in qualche modo una ragione; da ragazzi, il tempo che scorre frenetico e il susseguirsi degli accadimenti della vita aiutano - forse - ad accettare certe cose con un fatalismo che, da maturi, è più complicato riscontrare. Stefan Edberg sarebbe tornato per vincere gli Us Open due volte, nel 1991 – giocando quella che definì la sua miglior partita di sempre, 6-2 6-4 6-0 a Jim Courier – e nel 1992, quando Pete Sampras era ancora troppo incostante per instaurare la sua futura dominazione sul tennis.
Ho cercato un cenno dell’esistenza o del passaggio di Dick Wertheim nel portale Usta: in definitiva, era un arbitro e grande appassionato di tennis che, su un campo da tennis degli Us Open, trovò la morte. Non ne ho trovata traccia: peccato.
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