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Boston Celtics e un titolo che nasce nel 2013: il genio di Brad Stevens, la coppia Brown-Tatum e coach Joe Mazzulla

Davide Fumagalli

Aggiornato 20/06/2024 alle 11:25 GMT+2

BASKET, NBA - Il titolo 2024 vinto dai Boston Celtics in finale con i Dallas Mavericks ha radici profonde e lontane. Si parte dal 2013, quando scambiarono Pierce e Garnett e ottennero le scelte al Draft diventate poi Brown e Tatum, i "Jays" che tanti volevano separare fino all'anno scorso. Poi Brad Stevens, un genio, passato dalla panchina alla scrivania, lui che ha promosso Mazzulla, e non solo.

Tatum: "Una grande vittoria davanti ai nostri fan, la ricorderò per sempre"

I Boston Celtics sono tornati sul trono della NBA rompendo un digiuno che durava da 16 anni. E ci sono riusciti con un core che era arrivato alla finale dell'Est per 6 volte in 8 anni, con anche le Finals 2022 perse contro i Golden State Warriors. Un titolo, il 18esimo che vale il sorpasso ai Los Angeles Lakers, che era ormai maturo, la franchigia aveva fatto tutti gli step necessari, era passata da forti delusioni e pesanti critiche, ma non aveva mai preso delle scorciatoie, ha avuto sempre fiducia nel proprio piano e ha sempre resistito alla tentazione di premere il bottone rosso del reset, che sostanzialmente si poteva riassumere nel cedere uno tra Jaylen Brown e Jayson Tatum. Un successo questo che viene da lontano, che ha radici profonde e che ha diverse ramificazioni, alcune persino in Italia.

Il 2013 e la trade Pierce-Garnett

Da un certo punto di vista questo titolo NBA 2024 è legato all'ultimo, quello del 2008. Sì, perché nel 2013 l'allora presidente Danny Ainge, decise ripartire da zero, perse l'allenatore Doc Rivers, aveva già perso Ray Allen nel 2012, e così decise di cedere due simboli di quel trionfo 2008 come Paul Pierce e Kevin Garnett. Li cedette in una mega trade con gli ambiziosi Brooklyn Nets dell'allora proprietario russo Mikhail Prokhorov e in cambio ottenne, tra le altre cose, due prime scelte non protette al Draft 2016 e 2017. E sapete chi sono diventati quelle scelte? Sì, loro, Jaylen Brown e Jayson Tatum, entrambi chiamati da Ainge al numero 3 nel 2016 e nel 2017.

Brown e Tatum, la coppia che non scoppia

I due Jays, Jaylen Brown e Jayson Tatum, sono due ragazzi piuttosto diversi. Il primo viene da Marietta, in Georgia, la sua maestra predisse che il suo futuro era di finire in prigione entro 5 anni (lo scrisse in un tweet del 2014), invece Jaylen è un ragazzo brillante e di successo, nel basket e non solo: ha frequentato il prestigioso college di Berkeley, in California, è un appassionato di scacchi, studia robotica, ha tenuto delle lezioni al MIT, è stato invitato dalla NASA per un tirocinio, ed è molto impegnato nel sociale, oltre ad essere il vice presidente del sindacato giocatori NBPA.
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Jayson Tatum e Jaylen Brown, campioni NBA coi Boston Celtics

Credit Foto Getty Images

Il secondo viene da St. Louis, è cresciuto con Bradley Beal, ed è diventato padre da giovanissimo, al liceo: inseparabili lui, la mamma e il figlioletto Deuce, una mascotte nello spogliatoio dei Celtics. Il prodotto di Duke è stato decisivo fin dall'anno da rookie nel 2016-17 e non gli sono mai state risparmiate critiche, anche per la sua grande vicinanza con Kobe Bryant, suo mentore. Bersagliato anche perché finora non era mai riuscito a portare Boston al successo. Critiche feroci anche per Brown, che nell'estate 2023 ha firmato un rinnovo da 304 milioni di dollari in 5 anni, il più ricco di sempre, per quasi tutti un'esagerazione.
Alla fine però hanno avuto ragione, hanno fatto vedere a tutti di poter coesistere e di aver bisogno l'uno dell'altro, e hanno dimostrato che non c'è odio, non c'è dualismo, non c'è competizione, nemmeno quando Brown ha vinto il premio di MVP sia della finale dell'Est, sia delle Finals. E hanno avuto ragione i Celtics a non dividere la coppia, nonostante i rumors che volevano un cambio di rotta: adesso, con anche Tatum pronto a firmare un'estensione da 315 milioni, i Batman e Robin biancoverdi sono pronti ad aprire un ciclo.

Il genio di Brad Stevens: dal campo alla panchina

Nella stanza dei bottoni, a muovere tutti i meccanismi, c'è Brad Stevens. Sempre in quel famoso 2013 Danny Ainge scelse lui per sostituire Doc Rivers: subito un contratto di 7 anni per un autentico predestinato, un ragazzo classe 1976 dell'Indiana (come un certo Larry Bird…) che riuscì a portare due volte il piccolo college di Butler alla finale NCAA, nel 2010 e nel 2011, entrambe perse. Stevens ricostruì i Celtics post Pierce-Garnett e, a parte il primo anno, portò sempre la squadra ai playoffs con tre finali di Conference perse, nel 2017 e nel 2018 contro i Cavs di LeBron James, e nel 2020 nella bolla contro i Miami Heat, forse la delusione più cocente. Infatti nel 2021, 12 mesi dopo, a sorpresa Brad Stevens lasciò la panchina e diventò presidente al posto di Danny Ainge, colui che lo portò a Boston e che di fatto gli insegnò il mestiere da vero e proprio maestro.
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Joe Mazzulla e Brad Stevens, Boston Celtics

Credit Foto Getty Images

In tre anni al comando della franchigia, Stevens non ha sbagliato praticamente nessuna mossa, tra genio e sicuramente un po' di fortuna, con anche scelte dolorose. Come successore ingaggia Ime Udoka, stimatissimo da colleghi e giocatori (Tatum lo aveva avuto alle Olimpiadi di Tokyo da assistente di Popovich), e poi sul mercato indovina due colpi: in estate fa tornare Al Horford e il dominicano si rigenera dopo due anni bui tra 76ers e Thunder, poi a febbraio strappa Derrick White agli Spurs, due scambi senza cedere nulla di troppo prezioso e che permettono ai Celtics di arrivare fino alle Finals, perse 4-2 coi Warriors di Curry dopo essere stati avanti 2-1.
Sembra l'inizio di qualcosa di importante, invece prima del via della stagione 22-23 Udoka viene travolto da uno scandalo sessuale e deve quindi lasciare il posto. Problemi? Nessuno, Stevens affida la squadra all'assistente Joe Mazzulla, 34 anni. La squadra chiude al secondo posto ad Est, nei playoff non brilla ma arriva alla finale dell'Est, persa 4-3 contro i soliti Miami Heat dopo aver rimontato da 0-3 a 3-3. Non mancano ovviamente le critiche, Mazzulla è nell'occhio del ciclone ma Stevens lo conferma e gli allunga il contratto. Poi, nella offseason 2023, finisce il capolavoro: scambia Marcus Smart, idolo del TD Garden e leader dello spogliatoio, per prendere Kristaps Porzingis, prolunga l'accordo con Jaylen Brown a 304 milioni per 5 anni dandogli di fatto le chiavi della squadra, e poi approfitta della trade che porta Damian Lillard a Milwaukee per inserirsi e portarsi a casa Jrue Holiday, finito nel frattempo a Portland, in cambio di Malcom Brogdon e Robert Williams.
Mosse coraggiose e geniali, scommesse vinte ampiamente guardando ai risultati della stagione: il titolo è chiaramente la differenza, quello che di fatto giudica se il lavoro è stato buono o meno, ma la realtà è che i Celtics hanno dominato la regular season con un gioco efficace e super efficiente su due lati del campo, poi ai playoffs e nelle Finals sono stati uno schiacciasassi, al netto di avversarie non sempre al completo. Questo titolo è anche se non soprattutto dell'uomo nell'ombra, appunto Brad Stevens.

Il legame con l'Italia: Mazzulla e Pagliuca

Giusto per concludere con una nota patriottica, in questo titolo numero 18 dei Boston Celtics c'è anche un po' di Italia. La prima connection è in panchina perché le origini italiche di Joe Mazzulla sono evidenti: il padre infatti ha radici nel Lazio. "La mia famiglia è originaria di Itri, in provincia di Latina e mio padre ci tiene molto alle sue origini. Il basket ce l’ho nel sangue e sono orgoglioso di allenare i Celtics", disse in un'intervista Mazzulla. Allargando un po' il cerchio, il giovane coach non ha mai nascosto l'ammirazione per Pep Guardiola, il tecnico del Manchester City che ha avuto un passato da giocatore nel Brescia: Mazzulla si ispira a Pep, nel suo gioco c'è qualcosa degli schemi del catalano che era presente al TD Garden per gara 1 delle Finals.
Dal Brescia di Guardiola a Bergamo per l'Atalanta. Sì perché il miliardario Stephen Pagliuca è co-proprietario dei Boston Celtics con Wyc Grousbeck e dell'Atalanta con Antonio Percassi, avendo rilevato col suo gruppo il 55% delle quote del club orobico. In poche settimane Pagliuca ha trionfato per l'Europa League dell'Atalanta e ora per il Larry O'Brien Trophy dei Celtics: meglio di così non poteva proprio andare.
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Tatum festeggia il titolo, doccia di champagne in spogliatoio col trofeo

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